Margaret Mazzantini
Recensore : Nica Vergara
Questo capolavoro della Mazzantini vede come protagonista la giovane Gemma
La donna, riceve una telefonata da un vecchio amico di Sarajevo che le chiede di tornare dove qualche anno prima era stata, per prendere parte ora alla mostra fotografica che vedrà esposte le opere di Diego; il “fotografo di pozzanghere”, il suo grande amore senza pari e padre di suo figlio Pietro; il padre che Pietro non ha mai conosciuto perché vittima innocente anch’egli come tanti altri della guerra.
Gemma così si imbatte in questa nuova avventura verso Sarajevo portando con sé il figlio e lasciando Roma ed il marito Giuliano. I due sono attesi in aeroporto da Goiko; amico e poeta bosniaco che ai tempi delle Olimpiadi invernali del 1984 quando Gemma era approdata a Sarajevo per la sua Tesi su Ivo Andric, le aveva fatto da guida e si era mostrato come un fratello; uno di quei fratelli che ogni donna desidererebbe avere al proprio fianco.
Goiko le presenta Diego, ragazzo genovese dallo spirito di un bambino e dagli atteggiamenti di uno strampalato.
Gemma sul punto di tornare in Italia per sposarsi, scopre di aspettare un figlio da Diego, ma purtroppo la gravidanza si interrompe spontaneamente.
Gemma sposa Fabio ma il matrimonio non va a buon fine, così la donna si reca a Genova alla ricerca di Diego. Da qui a poco comincia una storia d’amore intensa, dolcissima, passionale seppure a tratti imperfetta.
“Noi non siamo mai stati così perfetti insieme, c’era sempre qualcosa che non combaciava…uno spigolo dove sbatti sempre, il lembo di un abito, che rimane sempre fuori dall’armadio e di notte ti dà fastidio e dici adesso mi alzo, tolgo quel pezzo di vestito. Poi resti a letto e dici lo farò domani”.
“Eravamo una di quelle coppie strampalate, su cui nessuno avrebbe scommesso un’unghia. Di quelle destinate ad una manciata di mesi superbi e poi ad afflosciarsi di botto. Eravamo così diversi. Lui dinoccolato, io sempre un po’ rigida, con le borse sotto gli occhi, il cappottino austero. Invece i mesi passavano, le nostre mani erano sempre l’una nell’altra per strada; i nostri corpi dormivano vicini senza darsi noia come due feti nello stesso sacco. Poi i figli che non vengono, il dolore e la frustrazione, la ricerca infinita. I figli che devono venire vengono”.
Appunto, in questa storia però mancava un ingrediente essenziale, la nascita di un figlio.
Gemma vuole a tutti i costi un figlio che non arriva così cerca una soluzione “illegale” ed i due si recano nuovamente a Sarajevo.
Da donna mi sento di affermare che la capacità di mettere al mondo dei figli assume un’importanza fondamentale nella vita di ciascuna di noi; un ossessione. E, quando la maternità viene negata dalle menomazioni del proprio corpo, la mente si riempie di egoismo ed odio; le stesse emozioni che vivrà Gemma.
La guerra ed una serie di incontri cambiano radicalmente la loro vita. Gemma e Diego incontrano Aska, una giovane musicista disposta a donare un figlio a Gemma in cambio di denaro.
“Anche la Madonna, se ci pensi, ha affittato l’utero a Dio…”.
La situazione tra Gemma e Diego si fa complicata, i due in preda a difficoltà, sensi di colpa e gelosia mandano in frantumi la loro idilliaca storia d’amore, infatti Gemma ritorna in Italia con il bambino e Diego invece, resta a Sarajevo.
Di ritorno in Italia, Gemma incontra Giuliano, lo sposa e proprio lui si prenderà cura della donna e del “suo” bambino.
Un romanzo struggente, bellissimo, commuovente e dalla tristezza infinita. Un romanzo che racchiude temi delicati, quali la guerra, la vita, l’amore, l’amicizia, accompagnati alle ossessioni di una donna che fa di tutto per avere un figlio. Mi sono immersa con foga nella lettura perché curiosa della sorte di ogni singolo personaggio. Va sottolineato a mio parere che la Mazzantini tratta le vicende politiche tra serbi e bosniaci con estrema sensibilità e con profondo rispetto verso il dolore, le brutalità e le sofferenze. Non sono credo le parole a commuovere, ma la brutalità del tema, purtroppo reale.
Su questo romanzo famosissimo si è parlato tanto, non a casa è vincitore del “Premio Campiello 2009”; si è parlato tanto da indurre Castellitto nonché marito della Mazzantini a farne un film. Non mi soffermerei sul film, perché ha deluso di gran lunga le mie aspettative.
Volentieri invece spenderei qualche riga su Pietro; Pietro per me rappresenta il simbolo della “reincarnazione”, del fatto che dalla guerra può nascere anche “qualcosa di buono”, non solo morte ma anche vita; “Venuto al mondo”. Io, in lui ci ho visto la speranza!
Questo romanzo non solo mi ha aperto il cuore e gli occhi, ma soprattutto i canali lacrimali. Durante la lettura ho divorato ogni singola parola. Ogni singolo personaggio inoltre, si fa odiare ma voler anche bene allo stesso modo. In molti momenti ho pianto, ritornavo su qualche periodo per riassaporarlo perché nessuna parola è messa a caso; ogni parola è carica di emozioni buone e meno buone.
Lo stile che definirei “tagliente” della Mazzantini è inconfondibile come del resto in tutti i suoi romanzi; cifra inconfondibile di identità letteraria che tocca l’anima. L’intero romanzo è raccontato con estrema durezza in particolare nei racconti della guerra dove mi è sembrato di vedere davanti agli occhi scene di guerra, di sentire lo scoppio delle armi e lo scenario degli edifici devastati.
“Spegni tutto, cosa cazzo aspetti, Dio? Togli il sole, buttaci addosso dal cielo un pianeta nero come il cuore dei bracconieri in cravatta. Oscura tutto una volta per sempre. Cancella anche il bene, perché il male vive nelle sue tasche. In questo istante. In questo istante un bambino sta per essere raggiunto. Salva l’ultimo. Spegni tutto, Dio. E non avere pietà, non abbiamo diritto a nessuno testimone”.
“La vita ha gli stessi colori della guerra, neve e sangue”.
“La morte è solitudine e loro furono privati anche di quella privatezza, costretti a crepare a grappoli come insetti. Essere derubati della vita sembrava quasi accettabile, alla fine, ma il furto della morte è un’altra storia…finire alla rinfusa, mischiati come panni sporchi, come frutta marcia”.
Per me questo libro è un capolavoro; un capolavoro che entra nel cuore e nella mente, non a caso sono qui a recensirlo dopo anni dalla lettura. Mi è rimasto dentro!
Consiglierei la lettura a tutti, ma che siate dello giusto stato d’animo per affrontare una lettura triste ma dal messaggio profondo; un messaggio che va diffuso soprattutto nei confronti delle nuove generazioni.
“La speranza appartiene ai figli. Noi adulti abbiamo già sperato, e quasi sempre abbiamo perso”.