Lucia Guarano
Recensore : Alessandro Salemme
Leggere La guerra è finita. Tra movimento studentesco e lotta armata: il ’77, di Lucia Guarano, equivale ad immergersi nell’epoca che, storicamente, incarna l’evoluzione delle istanze ideali sessantottine, esasperate, parzialmente distorte, infine definitivamente sconfitte. Partendo dal racconto dell’indissolubile amicizia fra Mia (figlia agiata di un noto avvocato romano) e Anna (figlia di un portiere di condominio), ci si trova catapultati negli eventi clou della protesta giovanile romana (fra il Febbraio e l’Aprile del 1977) e italiana latu sensu, quando Movimento Studentesco e Autonomia Operaia, pur partendo da posizioni ideali comuni, involvono rispettivamente verso la dissoluzione interna e la lotta armata clandestina. Accanto ai suddetti, compaiono nel romanzo indiani metropolitani e femministe che, in compagnia di una pletora di gruppuscoli antagonisti, operano “a sinistra” del PCI e del sindacato: verosimile ed evocativa la ricostruzione degli scontri alla Sapienza in occasione del discorso di Luciano Lama (segretario CGIL) fra autonomi e iscritti al sindacato (questi ultimi supportati dai comunisti), cui fa seguito l’occupazione temporanea dell’Università ad opera di frange extraparlamentari. Mia ed Anna agiscono proprio in quel calderone ideale, confuso, velleitario e violento, fra il sangue ed il fumo degli scontri, tentate da amori (Francesco e Luca, rispettivamente) vissuti nell’orizzonte della comune militanza politica: il tempo è quello effimero e libertario delle radio libere, dei cantautori “di strada” (su tutti, Claudio Lolli e Stefano Rosso), quando Mia, fedele al pacifismo originario del Movimento Studentesco, si scopre disorientata, persino basita, dinanzi alla sanguigna e fatidica determinazione di Anna, che diventa invece parte attiva della “colonna romana” delle BR. Leggendo fra le righe, l’autrice pare sottintendere come le differenze sociali di partenza influenzino la maturazione personale delle due amiche: la figlia del popolo, fiera e combattiva, è emblema di quanti, constatata l’inefficacia della lotta pacifista, non sanno né vogliono cercare riscatto alla propria subalternità sociale se non nella violenza; la figlia dell’alta borghesia, più sensibile e riflessiva, ma non certo meno coraggiosa, prova, anche grazie all’esperienza del carcere, a tenere un profilo “basso”, ricominciando dalla gente comune (significativo, in tal senso, è il fatto che insegni a leggere alla compagna di cella, traendone grande soddisfazione). Lo spirito del ’77 impregna, fra le tante, anche le vite di Mia ed Anna, che, se per un verso intraprendono modalità di azione radicalmente differenti, dall’altro condividono un orizzonte valoriale collettivo e personale (l’amicizia che le lega fa da collante ed è contemporaneamente mezzo e fine delle rispettive condotte) che è “cifra” qualificante di due generazioni, pur con sfumature differenti: quella del ’68, pacifista e idealista, e quella del ’77, più violenta ed eversiva. A ben vedere, il pregio maggiore di questo romanzo che si inscrive nel genere della narrativa d’inchiesta, ripercorrendo un anno cruciale per la storia del nostro Paese. Attraverso lo sguardo giovane di Mia, io-narrante delle vicende, l’autrice farà rivivere gli anni di piombo a partire dall’animato contesto degli studenti militanti, pronti a tutto pur di far crollare la solida torre di un potere consolidato e inattaccabile. È il capitolo storico in cui la freschezza e l’entusiasmo giovanile confluiscono nel bisogno di concretizzare le idee rivoluzionarie, con l’intento di creare un totale ribaltamento della società. Non tarda a palesarsi il caro prezzo per aver scelto di combattere l’ingiustizia a favore del cambiamento: lotte armate, detenzione, studenti pronti a tutto per imporre la propria voce, accogliendo troppo spesso un’ottica della violenza che causerà discordia tra i loro stessi baluardi. Sarà proprio quello che capiterà a Mia che, con sfumature autobiografiche dell’autrice, si esprime in modo crudo, diretto, senza artifici retorici devianti dal racconto cristallino dei fatti.
Il romanzo, dal titolo che richiama la canzone dei Baustelle “La guerra è finita”, si rivolge soprattutto a chi non ha vissuto quegli anni in prima persona, in particolar modo ai giovani d’oggi, affinché possa riaprirsi un sano dibattito tra il passato e il presente senza inutili fazioni ma soltanto alla ricerca della verità storica.