La Madonna dei mandarini

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La Madonna dei mandarini

Antonella Cilento

Recensore : Rosa Anna Confuorto

Questo libro andrebbe letto a Napoli, in pieno centro storico, con le voci, il sole e gli odori della città. La storia è simile ad un’opera teatrale: veloce, coinvolgente, vivida, animata da personaggi coloriti, da vizi più che da virtù.

Il palcoscenico è un’associazione cattolica di volontariato, in cui si incrociano gli interessi del filantropo Mimì, la carità di Don Cuccurullo e la devozione di quanti, frustrati o indecisi, hanno ben pensato di impiegare il proprio tempo con disabili e ragazze madri. La vicenda si svolge nell’arco di 6 mesi e benchè l’evento precipitante sia l’aggressione di una giovane drogata ai danni di un volontario, non si raggiunge mai un vero e proprio climax, nè una conclusione che sembri prevista nel destino dei nostri personaggi.

E’ un teatro di sentimenti e disprezzi veri, espressi o meno da questi interpreti tanto deplorevoli quanto reali. Gli stessi disabili o meglio i loro familiari, fanno pensare all’umanità che vive alla porta accanto o ci siede vicino in metro. Nessuno troppo buono o disincantato da non sapere come gira il mondo e come a volte “è ‘a vita ca nunn’è buona”.

Statine, studia medicina, ma vive con la passività che la sua giovane vita da ragazzo grasso e impacciato gli ha cucito addosso. Camilla, carica di sogni si ritrova sola e incastrata in un lavoro che è l’ultimo porto per la sua femminilità e creatività passate. Mimì Staibano, l’Avvocato, acculturato figlio di una famiglia modesta, ha ormai una posizione invidiabile ed invidiata ed è dall’alto di questo suo ruolo che gestisce le vite dei volontari e degli sfortunati a cui concede la carità. Ha lottato una vita intera per sentirsi giusto e perfetto ed è forse il personaggio dai dialoghi introspettivi più seducenti. Infine, Don Cuccurullo il prete avvoltoio che firma assegni e si sente Dio e una caterva di uomini e donne, grossolanamente tratteggiati, che racchiudono in sè sempre una vita di contrasti: le ipocrisie di una carità tanto decantata e mai sentita, la moralità che si abbassa all’utile, gli impulsi che in questi figuranti repressi scoppiano come fuochi d’artificio in una notte buia. E’ difficile condannarli, pur volendo, perchè le loro lotte intestine appaiono così vive e vere da farci quasi desiderare insieme a loro la libertà dei desideri, dalle ingiustizie, dalle finzioni. Agata Sòllima è forse il prototipo rappresentativo di questo continuo anelito: è madre di un ragazzo disabile, vedova, povera, ma colta e fiera, costretta a vivere nell’umiliazione di aver dato al mondo un bambino menomato e a dover accettare una carità di cartone da parte di falsi benefattori. E come un flusso inarrestabile, solo sopito a tratti, sarà proprio lei a rompere gli argini di questa presa in giro.

La lettura è scorrevole, la narrazione rapida e tratteggiata, verrebbe appunto voglia di vederli in scena, o ancora meglio di seguirli in giro per Napoli con il traffico caotico e l’aria carica di canzoni e drammi, allegria e disperazione, in una realtà che non ha mai una sola chiave di lettura.

La Madonna dei mandarini andrebbe letto in quelle giornate che anestetizzano l’anima. E’ una storia che ti attacca addosso la vita, per quanto amara, bruciante e intensa possa essere. Proprio come un caffè.